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Call #03 | A nudo

 

Marta Abbondanzieri

(Roma, 24 luglio 1991)
Da sempre appassionata di cinema, dopo aver conseguito il diploma di maturità classica, si iscrive all’università di Roma La Sapienza presso il corso di laurea in Arti e scienze dello spettacolo. Qui ha modo di entrare in contatto con diverse occasioni di crescita in ambito teatrale e cinematografico. Coerentemente con il suo percorso di studi, si specializza con una tesi triennale sul rapporto osmotico delineatosi tra Settima Arte e realtà sociale durante il periodo di militanza della rivista Ombre rosse (1967-1969).
Divisa dunque tra la passione per il sociale e per l’arte in tutte le sue forme, una volta laureata e in seguito a un breve percorso lavorativo presso un’organizzazione no profit, si iscrive al Centro Sperimentale di Fotografia Adams per frequentare un Master di fotografia generale. Così ha modo di capire quali sono gli aspetti che più la incuriosiscono della fotografia: ben lontana dall’essere percepita come mera registrazione della realtà da parte di un apparecchio elettronico, essa è piuttosto un’operazione mentale che nulla ha a che fare con la ripetizione di gesti sclerotizzati o fini a se stessi e che della realtà privilegia una visione “altra”, portatrice infine, perchè no, anche di messaggi di giustizia.

Il progetto

Definizione di frammento: ciascuna delle parti in cui si suddivide un oggetto quando si rompe. Partendo dalle suggestioni del cinema di Godard il mio progetto fotografico si incentra sul processo di frammentazione dei corpi: primissimi piani di mani, seni, braccia e gambe, dunque insistenza sui dettagli e sui particolari, nel tentativo estremo di andare al di là della forma e di dare una rappresentazione visiva piuttosto all’irrappresentabile.

 

 

Seran Belmonte

Io ti ho visto.

Questo progetto fotografico mira ad indagare la relazione tra l’oggettivazione e soggetivazione del corpo nudo. A tal proposito Galimberti scrive: “Dio non ha pudore perché non ha corpo. L’animale non ha pudore perché non ha il senso della propria individualità. L’uomo, che ha corpo e individualità, esprime nel pudore la dialettica contrastante di queste due dimensioni che così intimamente lo costituiscono e lo lacerano. Ciascuno di noi, infatti, ospita due soggettività. Una che dice «Io», con cui siamo soliti identificarci, e una che ci prevede «funzionari della specie» per la sua continuità.” La nudità del corpo, in fondo, non ci dice nulla ancora sulla disponibilità all’altro; si può, dunque, essere nudi senza mostrare un minimo spiraglio della propria anima. Consideriamo, nel rapporto tra fotografo e fotografato, anche il senso del pudore, che è non una faccenda di vesti, ma un tentativo di mantenere la propria soggettività, una sorta di vigilanza dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l’altro (Galimberti): uno dei due è materialmente a nudo, l’altro lo è nel suo scatto. Nel suo tentativo illusorio di poter catturare quello che sente, a partire da ciò che vede, con un obiettivo.

Il progetto si pone, inoltre, di indagare la rilevanza degli occhi, del viso e delle sue espressioni nel processo di identificazione e autenticazione, andando a vagliare la possibilità che un corpo nudo, senza volto, possa, comunque, esprimere una intensa soggettività.

Siamo abituati a pensare che gli occhi siano espressione dell’anima che ci abita; ma è davvero così? Uno sguardo: è la forma più diretta di sincerità o l’inganno più crudele? Quanti ci guardano con apparente ingenuità e celano, invece, un invito ben studiato ad essere guardati, a credere, a comprare. Anche su questo interrogativo Galimberti risponde: “Noi abbiamo solo il volto scoperto, perché il resto del corpo lo abbiamo reso inespressivo, per averlo consegnato per intero al codice della sessualità”. Forse questo rappresenta il motivo per cui abbiamo bisogno di un volto per riconoscere un’individualità, anche a costo di dare significati, laddove non ci sono, per mantenere quel pudore che soggettivizza noi e l’altro. Nel Simposio Platone afferma: «se uno, con la parte migliore del suo occhio (la pupilla) guarda la parte migliore dell’ occhio dell’altro, vede se stesso».

Il progetto, appena intrapreso, mira dunque ad indagare il labile confine tra il soggettivo e l’oggettivo, tra lo sguardo del fotografo, quello dell’osservato e dell’osservante, dinanzi al corpo nudo, che ci pone davanti a due opposte vie. Una che rappresenta una delle più grandi paure dell’essere umano: quella di essere ravvicinato ai nostri parenti animali, privato della sua individualità e oggetto di puro desiderio carnale, materia da usare a proprio piacimento. Una che rappresenta una delle più grandi possibilità: potersi mostrare come essere umano in tutta la sua interezza, parente agli animali ed alle divinità, potendo ridare al corpo nudo tutta la dignità di un mezzo carnoso, strumento vitale di vita, dell’essere al mondo delle anime soggetti che siamo. Poter, inoltre, riacquistare la fiducia verso lo sguardo dell’Altro che non mira a oggettivizzare, ma a cogliere ed esaltare gli aspetti più peculiari, come fa lo sguardo di un amante dinanzi alla nudità di chi ama.

 

 

William Davide Brio

 

“The Forgetfulness of Hadrian” Porfolio
Nothing is slower than the true birth of a man”. Marguerite Yourcenar, Memoirs of Hadrian
Ci vogliono anni, fatiche, tragedie e costruzioni di un Impero per formare un uomo e poi basta poco per dimenticare tutto: la vecchiaia, la demenza, la scomparsa dei mondi in cui si è vissuto.
Il corpo, ancora solido, come memoria di un passato messo a nudo che si allontana, per diventare leggenda al di là del corpo stesso.
L’imperatore Adriano è immaginato vagare per il Teatro Marittimo, in questo caso il basamento di un forno di un’acciaieria, in cui non si vede nessun riferimento al mondo Antico tra le strutture scarne in calcestruzzo; un viaggio alla ricerca di qualcosa che lentamente scompare dalla sua memoria, la perdita della cognizione spazio-temporale con qualche barlume della sua vita affettiva che si manifesta nella mano che compare misteriosamente dal profli architettonici.
L’Imperatore è più che nudo, si è spogliato senza saperlo di ogni cosa che lo ha reso Unico.

It takes years, effort, tragedy and construction of an Empire to make a man and then it takes little to forget everything: old age, dementia, the disappearance of the worlds in which he lived.
The body, still solid, as a memory of a stripped past that moves away, to become a legend beyond the body itself.
The emperor Hadrian is imagined wandering through the Maritime Theater, in this case the base of a furnace of a steel mill, in which there is no reference to the Ancient world among the lean structures in concrete; a journey in search for something that is slowly disappearing from his memory, the loss of spatio-temporal cognition with some glimmer of his affective life that manifests itself in the hand that mysteriously appears from the architectural profles.
The Emperor is more than naked, he has undressed without knowing everything that made him unique.

 

 

Maria Castronuovo

Corpo di donna

Curve, geometrie, curve. A voler somigliare ad una cassa armonica.

Woman’s body

Curves, geometries, curves. To want to look like a sound box.

 

 

Collettivo UNI Lazio – Sezione Laziale dell’Unione Naturisti Italiani

L’UNI Lazio è un’associazione no-profit fondata a Roma nel 1997. Fa parte della Federazione Naturista Italiana (FENAIT) associata alla Federazione Naturista Internazionale (INF/FNI).

Il suo scopo è quello di promuovere e diffondere l’ideale naturista ed il rispetto dell’ambiente, il diritto alla salute e il miglioramento della qualità della vita. Sostiene convintamente la pace ed i diritti della persona, rifiutando ogni discriminazione. Tutela e valorizza la cultura ed il patrimonio artistico, nonché la promozione e lo sviluppo delle attività connesse.

Si batte per il riconoscimento legislativo della pratica naturista e per l’autorizzazione da parte delle Amministrazioni locali di apposite aree dedicate.

Per i soci vengono organizzati numerosi momenti d’incontro ed attività, tra cui: escursioni in montagna, serate benessere in SPA, visite culturali o in oasi naturali protette, cene, vacanze naturiste ed altro. Periodicamente inoltre vengono svolte azioni di volontariato volte alla tutela ambientale.

Liberarsi dei vestiti non è solo un modo per rimanere nudi e godere liberamente del contatto con gli elementi naturali quali l’aria, l’acqua e la terra ma dà anche la possibilità di presentarsi agli altri come si è realmente, senza maschere e con tutti i propri difetti. Ciò comporta naturalmente uno stimolo sempre maggiore verso l’accettazione di se stessi e degli altri e del proprio e altrui corpo, attivando altresì un meccanismo con una forte componente terapeutica psichica e fisica.

Un altro mondo è sempre possibile, e il naturismo, nella sua costruzione, può avere sicuramente un ruolo determinante.

UNI Lazio is a non-profit association founded in Rome in 1997. It is part of the Italian Naturist Federation (FENAIT) associated with the International Naturist Federation (INF / FNI).

Its purpose is to promote and spread the ideal of naturism and respect for the environment, the right to health and the improvement of the quality of life. It strongly supports peace and the rights of the person, rejecting any discrimination. It protects and enhances the culture and the artistic heritage, as well as the promotion and development of related activities.

It fights for the legislative recognition of the naturist practice and for the authorization by the local administrations of specific dedicated areas.

For the members are organized many moments of meetings and activities, including: mountain hikes, wellness evenings in the SPA, cultural visits or in protected natural oases, dinners, naturist holidays and more. Furthermore, voluntary actions aimed at environmental protection are periodically carried out.

Getting rid of clothes is not just a way to stay naked and freely enjoy contact with natural elements such as air, water and the earth, but also gives the opportunity to present yourself to others as you really are, without masks and with all their faults. Naturally this implies an ever greater stimulus towards the acceptance of oneself and of others and of one’s own and of the other body, also activating a mechanism with a strong psychic and physical therapeutic component.  

Another world is always possible, and naturism, in its construction, can certainly play a decisive role.

 

 

Stefania Cuozzo

Medico di base ama fotografare e viaggiare.
Fotografa spesso e viaggia appena può cercando di far coinciliare le due cose.

 

 

Francesca Danese

 “BE ASIDE FROM ME, BE A SIDE OF ME” ovvero “sii separato da me, sii una parte di me”.

Ho spesso giocato con le parole e da attrice e autrice continuo a farlo, ma con la fotografia posso liberare – sto scoprendo – qualcosa di molto più profondo, a volte inattingibile dalle parole.
“Sii separato da me”: forse una preghiera. A chi? Non saprei. Forse è una richiesta a un qualcuno o qualcosa di doloroso di allontanarsi. O forse non è una preghiera, ma una affermazione di quel senso di separazione avvertita da alcune sensibilità. O ancora forse, in questo dialogo personale con la propria immagine, è una richiesta al mondo di stare lontano, con i suoi modelli, estetici, consumistici, comunicativi, fortemente “social”. “Sii una parte di me”: un’altra preghiera. A chi? Ancora una volta chissà. Forse a se stessa, al proprio corpo, perché dopo il dolore torni a essere uno. Perché ciò che sfugge e viene visto come separato, inquietante, torni a riappacificarsi col resto.
Questo progetto rappresenta dunque il tentativo di lasciare a un altro linguaggio, quello visivo della fotografia e quello fisico del proprio corpo, la possibilità si parlare di sé. Ed è un colloquio intimo. Che risponde a un istintivo bisogno di rinascita, un bisogno di riconoscersi, di legittimarsi, attraversando, per frammenti, un corpo che sento e vedo da sempre in conflitto: impietosamente analizzato da una mente assai vigile, un corpo pianto, a volte affamato, a volte offeso, a volte amato, a volte malato, a volte operato (la prima foto del progetto, qui non presente, è quella della mia… pancia dopo una operazione un anno fa, preceduta un’altra operazione più lontana nel tempo …. sempre lì, sempre lì).
È una ricerca per parti, soprattutto il seno e il ventre: parti di una femminilità sentita come dolente, esteticamente ancora adolescenziale e in contrasto col dato anagrafico, vissuta in modo conflittuale, anche solo per il confronto con modelli di perfezione proposti dalla società dell’immagine. Parti che sono al tempo stesso luoghi di dolore e di speranza o rinascita.
Il progetto (inteso nel senso più etimologico di proiezione) non attende pertanto la preparazione necessaria ad una macchina fotografica, ma segue l’istinto e si avvale dello strumento fotografico più immediato, il cellulare. Perché se lo si scopre, il corpo non può aspettare. Nessuna preparazione allo scatto. Nessun set, se non quello intimo, della la propria casa, a volte riconoscibile a volte no.
In questi scatti, il mio corpo prova a parlare da sé, chiudendosi, contorcendosi, stando, esplorando le pieghe e le conseguenti (de)formazioni. Se c’è un’estetica, arriva da sola, frutto della sedimentazione di immagini nello spazio-tempo, a volte vicine e a portata di mano come quelle dei social e a volte lontane, quasi memorie pittoriche o fotografiche, la cui stratificazione ha suggerito il linguaggio e le forme per questo discorso corporeo.
L’uso del bianco e nero, che non è per me affatto consueto, è anche esso una scelta non meditata e risponde forse a un bisogno di non farsi travolgere dal chiasso e dagli “effetti” della nostra colorata e multiforme realtà. Bianco e nero, uniti a contrasti forti, sporcature dell’immagine ecc., sono le parole di un linguaggio intimo ed essenziale, che non vuole aggiungere altro, un linguaggio che forse io ricerco nel bisogno di rifondarmi.

I have often played with words and, as actress and author, I continue to do so, but with photography I can free – that’s what I am discovering – something much deeper, sometimes unattainable by words.
“Be separated from me”: perhaps a prayer. To who? I do not know. Maybe it’s a request to someone or something painful to get away. Or perhaps it is not a prayer, but an affirmation of that sense of separation felt by certain sensibilities. Or perhaps, in this personal dialogue with my own image, it is a request to the world to stay away, with its models, that are aesthetic, consumerist, communicative, strongly “social”.
“Be a part of me”: another prayer. To who? Once again I don’t know. Perhaps to myself, to my body, because after the pain it returns to being one.In order that what escapes and is seen as separate, disturbing, returns to make peace with the rest.
This project therefore represents the attempt to leave to another language, the visual language of photography and the physical one of one’s body, the possibility of talking about oneself. And it’s an intimate conversation. That responds to an instinctive need for rebirth, a need to recognize oneself, to legitimize oneself, through fragments of a body that I feel and see always in conflict: ruthlessly analyzed by a very alert mind, a crying body, sometimes hungry, a sometimes offended, sometimes loved, sometimes sick, sometimes operated (the first photo of the project, not present here, is that of my … belly after an operation a year ago, preceded another operation more distant in time …. there, always there).
It is a search for parts, especially the breast and the belly: parts of a femininity felt as sore, aesthetically still adolescent and in contrast with the personal data, lived in a conflictual way, even only for comparison with models of perfection proposed by the society of image. Parts that are at the same time places of pain and hope or rebirth.
The project (understood in the most etymological sense of projection) does not therefore wait for the preparation necessary for a camera, but follows the instinct and makes use of the most immediate photographic tool, the mobile phone. Because if you find out, the body can not wait. No preparation for the shot. No set, if not the intimate one, of your own home, sometimes recognizable sometimes not.
In these shots, my body tries to speak for itself, closing, writhing, standing, exploring the folds and the consequent (de) formations. If there is an aesthetic, it arrives alone, the result of the sedimentation of images in space-time, sometimes close at hand as those of social and sometimes distant, almost pictorial or photographic memories, whose stratification suggested the language and the forms for this bodily discourse.
The use of black and white, which is not at all customary to me, is also an unqualified choice and perhaps responds to a need not to be overwhelmed by the noise and the “effects” of our colorful and multifaceted reality. Black and white, combined with strong contrasts, dirtying of the image, etc., are the words of an intimate and essential language, which does not want to add anything else, a language that perhaps I seek in the need to re-establish myself.

 

 

Filiberto Galli

Frammenti

Quante e quali sono le infinite sfaccettature della nostra personalità? Se ci guardiamo in uno specchio, vediamo solo noi stessi? Quando siamo nudi, siamo solo senza abiti? O mettiamo a nudo anche la nostra anima?

Fragments

Is our personality the result of innate aspects, stratified inside our most secret self? Can a mirror show who really we are? When we strip off, do we show our soul too?

 

 

László Gálos

galoslaszlonorbert@gmail.com |+36-70/201-42-37 | 3100 Salgótarján, Füleki út 54-56. – Hungary

Sono venuto a contatto con l’arte della stampa su lastre bagnate al collodio nel 2015. Nel esatto momento in cui entrai nella galleria ed osservai le immagini esposte di Tamás Varga capii immediatamente che questo era ciò che volevo fare anche io.

Non furono né il tema né lo stile delle foto a catturare la mia attenzione, fu la tecnica. Il mondo riccamente oscuro, cupamente monocromatico della fotografia al collodio è esattamente il filtro atto a distinguere la dozzinale e pacchiana facciata del nostro mondo, dai silenziosi strati della sua profondità. La melancolia del collodio mi aiuta ad esprimere ciò che del mondo io penso.

Inoltre, la complessità, l’instabilità e il lento e complicato meccanismo del procedimento al collodio necessitano una considerevole auto-disciplina e capacità di attenzione: quando lavoro ad un ambrotipo posso passare settimane, a volte anche mesi su una singola immagine. Per completare una serie ci vogliono mesi, a volte anche anni.

Negli ultimi tre anni ho partecipato a più di 30 esibizioni collettive in tutta l’Ungheria, alcuni dei miei ambrotipi originali sono stati esposti in due collettive statunitensi.

Ho realizzato due personali messe in mostra in 5 diverse città ungheresi.

Immagini dai limiti del corpo

I nostri corpi determinano la nostra esistenza su molti piani fondamentali e anche se non sono le uniche cose he cerchiamo di nascondere, preferiamo comunque coprire le nostre forme, lasciandoci affascinare al contempo dal corpo degli altri. Nella maggioranza dei casi il nostro interesse per i corpi è dettato da motivi più che profani. Nonostante questo, se pronti e capaci a trascendere l’elemento sessuale, possiamo essere in grado di osservare come la rappresentazione dei sempre nascosti e pur sempre presenti corpi può rivelare, molto più di qualsiasi altro tema fotografico, moltissimo di noi e del nostro mondo. Sin da quando ho iniziato a fotografare, il mio interesse per il nudo è stato mosso dalla possibilità di mostrare molto più della mera carnalità del corpo umano. Le mie foto sono sempre costruite, allestite con meticolosità e strutturate intorno ad un’idea.
Lavorare con lastre bagnate di collodio implica molte ore di attesa, pose mantenute con attenzione e molta resistenza – eppure elementi sorprendenti possono nascondersi anche in questo genere di processi fotografici. Può succedere che le foto finali siano qualcosa di diverso, qualcosa di più di ciò che era stato pianificato originariamente. Per questa call ho scelto una serie di ambrotipi, immagini che non mettono solo a nudo il corpo umano, ma che ci permettono di intravedere la nostra esistenza stessa. Ci mostrano un momento a cui di rado diamo importanza e che nonostante questo ci sta aspettando da qualche parte a distanza – o magari semplicemente ad un tiro di schioppo, a pochi secondi da noi.

Images from the Body’s Edge

Our bodies determine our existence on a fundamental level; while they are not the only thing we like to hide, we prefer to cover up our own and, at the same time, feel constantly fascinated by the bodies of others. Most of the time our interest in bodies is motivated by the most profane reasons. Nonetheless, if we are ready and able to transcend the sexual, we may be able to see how representations of the always hidden yet always present body can reveal so much more about us, about our whole world, than any other photographic theme.
Ever since I started to take photographs, my interest in nude images have always been to show more than the merely carnal aspects of the human body. My photographs are always staged, precisely constructed and informed by an idea. Working with wet plate collodion involves long hours, carefully maintained poses and lots of stamina – still, there may be an element of surprise hidden even in this kind of process. It may happen that the finished photo reveals something else, something more than the photographer originally planned to show.
I have chosen a set of ambrotypes for submission, images that bare not only the human body but let us take a glimpse into our very existence; they show us the moment that we seldom give any thought of yet that is waiting for us somewhere in the distance – or just at a stone’s throw, only a few seconds away.

Carola Graziani

“Un corpo nudo risolve tutti i problemi dell’Universo” (Nicolàs Gòmez Dàvila)


O forse il corpo nudo riflette, come uno specchio, la fugacità e l’eternità dell’Universo?

Il corpo nudo, con le sue curve rivela le nostre paure, le nostre imperfezioni, la caducità del nostro essere.

Ma, al tempo stesso, fa affiorare la sua perfezione. E’ una melodia, un tango crescente che nasce dalle nostre viscere fino ad esplodere all’esterno: nella pelle, negli occhi, nella bocca, nel ventre, in tutto l’essere.

Si esprime senza emettere un suono, ma la sua musica pervade l’aria, svela il nostro “io” più profondo, che nel suo divenire è indissolubilmente legato all’Universo.

 

 

 

Fabrizio Laboureur

Nasce a Roma nel 1975.
Comincia a fare fotografie già da giovane con una reflex analogica. Inizia a fotografare persone e paesaggi urbani. Scatta fotografie sia a colori che in bianco e nero.
Dopo un lungo periodo di pausa nel 2017 in occasione di un viaggio in Spagna si riaccende la passione e ricomincia a fare fotografie. Acquista una reflex digitale con zoom ottico.
Dal 2017 segue alcuni corsi di formazione di fotografia e diversi workshop di approfondimento. Si interessa di ritratti e di schema luci.
Ora è interessato a realizzare ritratti sia in studio che ambientati, poiché capisce che la gente è il più grande spettacolo del mondo. Egli non fotografa, ma cerca di prendere tutto ciò che c’è da cogliere in uno sguardo, in un momento. Infatti è alla ricerca di quell’attimo di autenticità e spontaneità capace di rappresentare una persona.
Ha cominciato a fotografare quante più persone che può. E’ un fotografo ritrattista.
Attualmente vive e lavora a Roma.

Born in Rome on 1975.
Started shooting when he was young with analog film camera. Start taking picture of people and urban landscapes. Take a color photo and black and white photo too.
After a long period of inactivity on 2017 on a visit to Spain he is starting to take pictures. He buys a digital camera with an optical zoom.
From 2017 took a few photography classes and a few workshops. He’s working on portraits and light pattern.
Now he begins making portraits indoor and outdoor, because he knows that people are the most important show in the world. He’s looking for something about people’s character. He begins taking as many pictures of people as he possibly to does. He’s a portrait photographer.
Now he lives and works in Rome.

 

 

Mattia Mognetti

Teste (2017)

In un mondo saturo di immagini e ormai assuefatto alla loro manipolazione digitale, queste fotografie che sembrano essere prodotto di un software per il foto-ritocco sono in realtà analogiche, impresse su una pellicola a medio formato. L’unica manipolazione presente è quindi quella fisica, materica, attraverso la quale l’autore ha concretamente modellato le sculture poi ritratte.
L’atto dinamico del manipolare è fissato in un istante impresso su pellicola, un frame che rappresenta l’incipit, la nascita della scultura, e diventa l’unica modalità in cui la scultura stessa continua ad esistere, trascendendo così dalla caducità del perpetuo mutamento a cui è sottoposta, di cui diventa essa stessa metafora. I pochi elementi umani che emergono dalla distorsione, occhi e bocche solo apparentemente espressivi, ma di fatto freddi, rigidi, cavi, danno origine a una forma di contrasto con il profondo impatto emotivo dell’immagine, con una potenza espressiva che sembra entrare in risonanza con le corde più intime e primitive dell’animo umano. Si scorge quindi il tentativo di utilizzare un mezzo espressivo comune a tutti gli uomini, il linguaggio del volto, rinnovandone il significato e proiettandolo su un piano meno epidermico.

 

 

Graziano Mortella

BlackRope


“Lo Shibari è un’arte erotica giapponese basata su armonia, estetica e piacere. Con corde del tutto naturali, si crea un’immagine armonica in grado di esaltare il corpo, sia maschile sia soprattutto femminile. Non lo mortifica, non lo vuole affatto umiliare ma al contrario, celebrarlo in tutta la sua bellezza”.

Continua cosi la mia ricerca nelle forme del corpo umano scolpendole con la luce, colpito da questo tipo di arte che sta prendendo piede nella cultura occidentale negli ultimi anni, avvicinando sempre di più la cultura orientale a quella occidentale.

 

 

Stevio Peti

Ombre

Non c’è nulla di più vero di un corpo nudo, la sinuosità delle forme, i dettagli nascosti fanno di un corpo nudo l’oggetto più affascinante dell’universo. Se poi il corpo è quello di una donna e nelle immagini si introducono delle ombre allora il gioco è fatto. Tutto risulta più attraente, sensuale, intrigante, non c’è illusione … quello che si legge nelle immagini scatena la fantasia più sfrenata.

Shadows

Nothing is more real of a naked body, the sinuosity of the forms, the hidden details make a naked body the most fascinating object in the universe. If then the body is of a woman and in the images you introduce the shadows then the game is done. Everything is more attractive, sensual, intriguing, there is no illusion … what you read in the images unleashes the wildest fantasy.

 

 

Pietro Sacchini

Rinascita

Vado a dormire e mi tolgo la maschera del “consenso” che ho portato tutto il giorno. Spesso portiamo una maschera per nascondere le nostre debolezze, le paure di non essere accettati, compresi, ma a volte diventa anche un alibi dal quale e difficile uscirne. Abbiamo paura di metterci a nudo, di prendere i nostri sogni, le nostre idee a due mani e lanciarle in alto per i prendere il volo. Questo progetto “Rinascita” è un augurio alle anime intrappolate dietro il consenso, che riescano un giorno a rompere la maschera e proiettarsi verso la luce che fa rinascere e migliorare, trovando nell’originalità il carattere personale e identificativo di ognuno di noi.

Rebirth

I go to sleep and I take off the mask of “consent” that I brought all day. We often wear a mask to hide our weaknesses, the fears of not being accepted, including, but sometimes it also becomes an alibi from which it is difficult to get out. We are afraid to get naked, to take our dreams, our two-handed ideas and throw them up to take flight. This “Rebirth” project is a wish for the souls trapped behind the consensus, who one day succeed in breaking the mask and projecting towards the light that is reborn and improve, finding in the originality the personal and identifying character of each of us.

 

 

Giada Sponzilli

Caress Yourself

Il corpo si esprime da solo senza l’aiuto del volto. L’espressività del viso, cui siamo più abituati, viene messa in secondo piano a favore di quella del corpo. Se la prima solitamente è legata alla manifestazione dei nostri moti razionali, l’espressività del corpo permette di entrare in contatto con la manifestazione della nostra interiorità, il più possibile senza filtri né freni.
Le immagini nascono dal buio e si costruiscono verso la luce. Così la donna colta dall’obiettivo scopre se stessa o almeno tenta di scoprire se stessa lentamente, e solo parzialmente.
Scopre se stessa attraverso le mani, attraverso la luce. Viene in questo modo a conoscenza di una parte di sé di cui fino ad allora era stata inconsapevole, eppure non può mai arrivare a una visione globale di sé.
Quanto ci conosciamo? Quanto abbiamo voglia di esplorarci? Di capirci? Siamo disposti a portare alla luce i nostri angoli più nascosti, del corpo e dell’anima?
Sono queste le domande che mi hanno perseguitato durante il progetto fotografico Caress Yourself, domande alle quali cerco una risposta tutt’ora.
Ma forse la risposta è secondaria e l’importante è porsi le domande.
Il corpo nudo è per me in grado di evocare il paesaggio dell’anima, nei suoi chiaroscuri si mostrano zone umane sconosciute fino al momento in cui la mano non le sfiora, l’obiettivo non le cattura.
Dedichiamo sempre poco tempo a conoscere noi stessi e soprattutto a entrare in contatto profondo col nostro corpo, così spesso ci ritroviamo in un corpo per noi incomprensibile e che stentiamo a riconoscere come nostro.
Ci ritroviamo a desiderare di cambiare, sia il corpo che – a volte – la nostra anima, ci sentiamo a disagio con quello che siamo.
Dedichiamo un tempo eccessivo alla cura esteriore del nostro aspetto, oppure torturiamo il nostro corpo rifugiandoci in un’ossessiva attenzione per la nostra interiorità.
Ma il corpo e l’anima non vanno forse di pari passo? Non necessitano entrambi della stessa cura da parte nostra?
Dovremmo avere il coraggio di spingerci oltre, di amarci, di accarezzarci per scoprire finalmente chi siamo e non chi dovremmo essere.

In Caress Yourself project the body expresses itself without the help of the face. The expressiveness of the face, which we are more accustomed to, is in the background in favor of the expressiveness of the body. If the first one is usually linked to the manifestation of our rational motions, the expressiveness of the body allows us to come into contact with the manifestation of our interiority, as much as possible without filters or brakes.
The images are born from the darkness and are built towards the light. So the woman caught by the lens discovers herself or tries at least to discover herself slowly, and only partially.
She discovers herself through the hands, through the light. In this way she becomes aware of a part of herself that she had previously been unaware of, yet she can never reach a global vision of herself.
How much do we know ourselves? How much do we want to explore ourselves? To understand ourselves? Are we willing to bring to light our most hidden corners of body and soul?
These are the questions that persecuted me during the photographic project
Caress Yourself, questions to which I look for an answer still today.
But perhaps the answer is secondary and the important thing is to ask the questions.
Naked body is for me able to evoke the landscape of the soul, its chiaroscuro shows human areas that remain unknown until the hand touches them, the lens does not capture them.
We always spend little time getting to know ourselves and above all coming into deep contact with our body, so we often find ourselves in a body that is incomprehensible to us and that we find difficult to recognize as ours.
We find ourselves wishing to change, both the body and – sometimes – our soul, we feel uncomfortable with what we are.
We devote excessive time to the external care of our appearance, or torture our body by taking refuge in an obsessive attention to our inner self.
But does not the body and the soul go hand in hand? Do not they both need the same care on our part?
We should have the courage to go further, to love each other, to
caress ourselves to finally discover who we are and not who we should be.

 

 

Marina Vincenti

Inizio a studiare fotografia nel 2014 quando partecipo ad un modulo in fotografia architettonica e still life all’interno dei corsi di studio in desing presso l’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma. Continuo la formazione a Viterbo partecipando al corso di fotografia naturalistica e macro diretto da Alessandro Zocchi e frequentando la scuola di Lietta Granato con la quale inizio a collaborare nel 2016 all’interno dell’associazione Click! di Viterbo. Continuo la ricerca fotografica e la specializzazione con i corsi della CSF Adams di Roma.
Nel 2016 collaboro con l’Università di Roma Tre dipartimento di Scienze della Formazione per la realizzazione di un reportage fotografico sulle donne migranti in Sicilia all’interno della ricerca “Voci di donne dal Mediterraneo”.
Tra il 2016 e il 2018 partecipo a diverse mostre collettive a Viterbo. Nel 2016 vinco il premio della critica all’interno del contest fotografico organizzato dalla gioielleria Bracci di Viterbo “My body my jewel”. Alla fine del 2016 esce la guida/diario di viaggio “Umbria: passaggi a sud-ovest” edita da Annulli Editori di cui curo la parte fotografica.

La morte nuda

La morte da sempre è oggetto di mistero,curiosità e paura.

L’arte, soprattutto quella pittorica, nelle sue rappresentazioni ha reso in qualche modo immortale anche l’attimo della morte, congelando per sempre quel momento e conferendogli importanza e bellezza. Se alle rappresentazioni più famose togliessimo i colori della pittura, gli orpelli e il contesto ciò che ne rimarrebbe sarebbero solo corpi, corpi nudi privati della vita, senza più nome, rango sociale o epoca. Rimarrebbe solo la morte nuda.

 

I started studying photography in 2014 when I took part in a module in architectural photography and still life in the study courses in desing at the Academy of Arts and New Technologies of Rome. I continue training in Viterbo participating in the course of nature and macro photography directed by Alessandro Zocchi and attending the school of Lietta Granato with which I start working in 2016 within the association Click! of Viterbo. I continue the photographic research and the specialization with the courses of the CSF Adams of Rome.
In 2016 I collaborate with the University of Roma Tre department of Educational Sciences for the realization of a photographic reportage on migrant women in Sicily in the research “Voices of women from the Mediterranean”.
Between 2016 and 2018 I participate in several group exhibitions in Viterbo.  In 2016 I win the critics’ prize in the photographic contest organized by the Bracci jewelry shop in Viterbo “My body my jewel”.  At the end of 2016, the guide / travel diary “Umbria: passages to the south-west” was published by Annulli Editori, whose photographic part was taken care of.

The naked death

Death has always been the object of mystery, curiosity and fear.

Art, especially the pictorial one, in his representations has made the moment of death immortal in some way, freezing that moment forever and giving it importance and beauty. If the most famous representations removed the colors of painting, the frills and the context, what would remain would be only bodies, naked bodies deprived of life, without a name, social rank or age. Only naked death would remain.